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Writer's pictureGuido Cortese

Bio Monitoraggio, Tutto lo Scibile...

Updated: Nov 15, 2020

PREMESSE

Già da diversi anni si conosce l’importanza dell’ape come indicatore ambientale per valutare i livelli di contaminazione dovuti a diversi inquinanti.

Nel 1935 Jaroslav Svoboda, dell’Istituto di Apicoltura di Libcice, nei pressi di Praga, evidenziò gli effetti negativi degli inquinanti industriali sulle api che bottinavano nei territori industrializzati di Trinec (Repubblica Ceca).

Il biomonitoraggio realizzato con api ha già una sua storia. L’impiego dell’ape nel monitoraggio ambientale risale al 1935 quando Jaroslav Svoboda, dell’Istituto per le ricerche in apicoltura di Libcice, vicino Praga, indicò le ripercussioni negative degli inquinanti industriali sulle api che bottinavano nei territori densamente popolati e industrializzati di Trinec in Cecoslovacchia. Negli anni successivi numerose esperienze sono state intraprese per verificare l’efficacia di questo imenottero come indicatore della presenza di contaminanti nell’ambiente. Lo stesso Svoboda e colleghi evidenziarono un aumento dello Sr90nelle api e nei loro prodotti all’inizio degli anni ’60, probabilmente dovuto agli esperimenti nucleari nell’atmosfera in corso in quel periodo. Numerosi sono stati i programmi di biomonitoraggio negli anni successivi che hanno visto quest’insetto essere utilizzato, in diversi Paesi ed in alcune regioni italiane, per evidenziare fonti di inquinamento anche molto pericolose.

Negli anni ’70 Jerry Bromenschenk (Università Del Montana) notò alti livelli di fluoro (residuo di combustione del carbone) nelle api dopo l’attivazione di una centrale a carbone.

Nel 1983 Stefano Fornaciari e Bruno Cavalchi, della USL n°9 di Reggio Emilia, tramite l’analisi di api vive e morte, propoli, miele e polline, riuscirono a valutare inquinamenti da piombo e fluoro.

Nel 1980, grazie ai finanziamenti dell’Assessorato all’Ambiente di Forlì, iniziarono gli studi per l’impiego dell’ape come rilevatore per l’inquinamento da pesticidi.

Il gruppo di ricerca del prof. Celli dell’istituto di Entomologia dell’Università di Bologna effettuò numerosi rilevamenti negli anni fra il 1983 e il 1986, evidenziando 581 casi di elevata mortalità negli alveari. Le analisi svolte in seguito presso l’USL di Rimini permisero di rintracciare le molecole responsabili.

Dobbiamo tornare indietro al 1986 con il gruppo di lavoro costituito con il celebre Marco Accorti, promotore del biomonitoraggio nelle città italiane, fiorentino, che ha coinvolto gli allora istituti sperimentali di zoologia agraria, con sede a Roma. Lui lavorava a Firenze come ricerca in apicoltura, in un istituto che poi venne accorpato nel CRA (ora CREA) Consiglio per la ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria.

In questo gruppo di lavoro con Giorgio Celli (Giorgio Ruggero Celli è stato un entomologo, etologo, accademico, scrittore, sceneggiatore, politico, conduttore televisivo, poeta e drammaturgo italiano.) e Claudio Porrini, nasce l’idea di un primo progetto organico che venne proposto in Italia (circa 20 anni fa).

I punti chiave di questi 20 anni sul biomonitoraggio sono :

- costi, servono più denari per singole analisi, e per avere una base scientifica serve una griglia di analisi costanti a parità di punti di osservazione in una stagione;

- centraline automatiche (quelle meccaniche: misura immediata ma incompleta: La macchina automatica mi dice che c'è tanto cromo, ma come impatta sulle specie? Con le api ho informazione integrata con più sistemi);

- inquinamento va monitorato in maniera integrata con sistemi chimico fisici e con sistemi biologici (ovvero api insetti macroinvertebrati) che ci danno una indicazione diretta e anche di che effetto fa su un organismo vivente, oltre che della e bio disponibilità di queste specie in funzione dell’ambiente in cui vivono;

- Il biomonitoraggio appunto costa e non è normato, ovvero in Italia gli enti pubblici non possono finanziare questi strumenti x monitorare, perché i devono usare strumenti normati (cioè devono prendere decisioni immediate come blocco traffico etc. sulla base di una corrispondenza tra il dato e una tabella normata, cosa oggi possibile solo per i dati forniti da strumenti chimico fisici);

- 20 anni fa hanno cercato di monitorare muschi licheni api e macroinvertebrati con ISPRA Istituto Superiore per la. Protezione e la Ricerca;

- Sui pesticidi non ci sono strumenti elettronici istantanei;

- l'ape fornisce immediatamente un’indicazione media e mediata. Beve, tocca il suolo : è un sensore mobile.

Funzioni oggettive del biomonitoraggio allo stato attuale:

1) Biomonitoraggio dello stato di salute del territorio ed elaborazione dei dati scientifici con lo scopo di contribuire alla possibile Certificazione ambientale di interi comprensori molisani nel rispetto delle normative europee, mediante integrazione con i rilievi ottenuti con altri sistemi di monitoraggio (es. centraline fisse, analisi dei comparti ambientali, analisi degli alimenti, ecc.) e certificazione nonché evidenziare eventuali criticità ambientali dovute alla particolare predisposizione dei siti strategicamente biomonitorati. I dati raccolti saranno ampiamente spendibili anche nell’ambito del Piano Sanitario Nazionale, laddove lo stesso individua gli indicatori biologici quale strumento di monitoraggio della diffusione e distribuzione dei contaminanti ambientali, e del Piano di Azione Nazionale (PAN) per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, adottato con DM del 22 gennaio 2014 (GU n. 35 del 12.02.2014), laddove lo stesso si propone di “individuare indicatori utili alla misura dell’efficacia delle azioni poste in essere con il Piano e favorire un’ampia divulgazione dei risultati del relativo monitoraggio” e prevede tra le priorità lo studio dell’impatto ambientale dei prodotti fitosanitari.

2) Tutela della biodiversità animale e vegetale, essendo le api le principali impollinatrici della flora autoctona (90% dei vegetali presenti), e da cui dipende la sopravvivenza di intere biocenosi appenniniche, a partire proprio dagli ecotipi locali di ape da miele, o selezionando opportunamente popolazioni fortemente adattate al territorio di riferimento, le uniche capaci di garantire una perfetta impollinazione di specie spontanee e coltivate

3) Incremento generalizzato delle produzioni agricole regionali, ivi comprese quelle tipiche e quelle di interesse zootecnico, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo, conseguente alla maggior diffusione sul territorio delle aziende apistiche, in particolare mettendo a disposizione degli apicoltori popolazioni fortemente adattate al territorio. Si sottolinea che la rarefazione dei pronubi ha assunto carattere di assoluta emergenza di importanza mondiale.

4) Incremento ed utilizzazione della rete di biomonitoraggio sul territorio regionale, da costituire in collaborazione con tutte le Associazioni apistiche presenti sul territorio, che peraltro hanno già manifestato interesse all’iniziativa, a tutela dell’attività apistica stessa, e quindi dell’agricoltura, della biodiversità e dell’ambiente in generale, segnalando in tempo reale il manifestarsi delle sempre più recenti emergenze sanitarie ed ambientali.

2. Stato dell’arte

Negli ultimi anni sono sempre più numerosi gli enti e le strutture pubbliche (Regione Marche per le aree protette, Basilicata per il Metaponto, Emilia Romagna, Piemonte, Sicilia, ecc.) che si occupano di effettuare una continua osservazione dei fenomeni evolutivi e inquinanti degli ecosistemi. L’ambiente è sempre più spesso monitorato e controllato per verificare variazioni specifiche e/o di massa dato che è periodicamente sottoposto all’immissione di sostanze inquinanti di varia origine e natura. Sono stati studiati vari sistemi di monitoraggio ambientale per verificare l’incidenza delle attività dell’uomo, ad esempio dopo la realizzazione di un’opera (una zona industriale, una strada, ecc.).

Sono oggetto specifico di rilevamento:

· inquinanti organici (delle acque, del suolo, dei prodotti agroalimentari, ecc.);

· inquinanti inorganici (delle acque, del suolo, dei prodotti agroalimentari, ecc.);

· agrofarmaci;

· inquinanti chimico-biologici;

· inquinanti atmosferici;

· polveri ultrafini e nanoparticelle.

Il monitoraggio è effettuato, nella maggior parte dei casi, avvalendosi di centraline di rilevamento fisse o semi mobili che riescono a immagazzinare informazioni che sono poi elaborate. Attraverso il monitoraggio strumentale dell’ambiente si acquisiscono dati di tipo quantitativo, relativi all’istante del campionamento (situazione puntuale in un preciso momento storico) e ad ogni singolo inquinante. Ulteriore metodo di monitoraggio dell’inquinamento ambientale è quello che prevede l’utilizzo di organismi viventi (biomonitoraggio). Il biomonitoraggio è effettuato attraverso organismi bioaccumulatori (organismi in grado di sopravvivere in presenza di inquinanti che accumulano nei loro tessuti, es. i licheni; con opportune analisi è possibile ottenere dati sull’inquinamento sia di tipo qualitativo che quantitativo) e/o bioindicatori (organismi che subiscono variazioni evidenti nella fisiologia, nella morfologia o nella distribuzione spaziale sotto l'influsso delle sostanze presenti nell'ambiente, es. l’ape). Attraverso il biomonitoraggio si riescono a raccogliere informazioni più generali sullo stato di salute dell’ambiente valutando anche i danni subìti dagli organismi bersaglio presenti nell’area di studio o appositamente introdotti (biomonitoraggio di tendenza).

L’attività di biomonitoraggio, quindi, oggi ha un ruolo importante e sempre crescente in quanto rispetto alle tecniche analitiche tradizionali offre diversi vantaggi:

· riesce a fornire stime sugli effetti combinati di più inquinanti sugli esseri viventi;

· ha costi di gestione limitati;

· offre la possibilità di coprire con relativa facilità vaste zone e territori diversificati, consentendo un’adeguata mappatura del territorio;

· può essere un valido mezzo che aiuta a sensibilizzare e formare le persone sul tema dell’importanza della qualità ambientale.

Una vastissima bibliografia scientifica dimostra che un eccellente bioindicatore é rappresentato dalle api da miele [es. Apis mellifera ligustica (Spinola, 1806)]. Le api sono in grado di segnalare l’eventuale danno chimico subìto dall'ambiente in cui vivono, attraverso due segnali: l'alta mortalità, nel caso dei fitofarmaci con attività insetticida, e attraverso i residui che si possono riscontrare ed accumulare nei loro corpi o nei prodotti dell'alveare, nel caso di tutti gli agrofarmaci e di agenti inquinanti come i metalli pesanti e i radionuclidi, rilevati tramite analisi di laboratorio. Tenuto conto che il raggio medio di azione delle api può arrivare anche a 2 km dal rispettivo alveare, si riescono ad acquisire dati di un territorio molto vasto, fino a circa 6 – 8 km2.

L’ape è quindi oggi ritenuta senza ombra di dubbio un elemento attivo nella catena produttiva perché in grado di produrre miele ecc. e garantire produttività al territorio ma anche un elemento indicatore dello stato di salute di un ambiente.

In generale possiamo distinguere tre categorie di bioindicatori ambientali:

1 specie indicatrici: organismi, vegetali o animali, la cui presenza o assenza in un ambiente può essere associata in modo specifico a un determinato tipo di inquinamento dell’ambiente stesso;

2 indicatori veri: organismi che manifestano modificazioni morfologiche e/o strutturali in seguito alla presenza di un determinato inquinante (mostrando, nel caso dei migliori organismi indicatori, un danno proporzionale alla dose di inquinante incontrata);

3 accumulatori e/o collettori: organismi accumulatori di particolari inquinanti.

A seconda dell’attribuzione dell’ape a una delle tre categorie fondamentali di indicatori biologici (specie indicatrici, indicatori veri, accumulatori o collettori) possiamo giungere a conclusioni di tipo diverso. L’ape, come singolo individuo, essendo pressoché ubiquitaria, può teoricamente essere considerata una specie indicatrice (1a categoria). La sua assenza in un biotopo, denuncia l’esistenza di condizioni sfavorevoli conseguenti alla presenza di contaminanti ad alto rischio tossicologico per l’ape o all’assenza di fonti di cibo (monocolture intensive di vegetali ad impollinazione non entomofila con diserbo esasperato). La famiglia, entità standard minima per indagini di monitoraggio, mostrando attraverso la mortalità delle bottinatrici un danno proporzionale alla contaminazione, può essere considerata un indicatore vero (2a categoria). Tuttavia l’alveare è per eccellenza un collettore e un accumulatore, quindi riferibile alla 3a categoria. I materiali raccolti e portati in arnia possono veicolare selettivamente sostanze presenti nell’ambiente, che possono poi essere ricercate:

· nel miele, nella cera, nelle pallottoline di polline, nella propoli (api come collettori) (Celli, 1992);

· nel corpo delle larve o degli adulti (api come accumulatori) (Accorti et al., 1991).

La scelta dell’ape nei programmi di biomonitoraggio rispetto ad altri organismi, oltre a quanto già detto, è dovuta principalmente alla facile reperibilità, all’economicità di impiego, alla presenza di un efficace apparato sensoriale, ecc. L’ape, inoltre, è diffusa in tutti gli ambienti, ha un tasso di riproduzione molto elevato che, associato ad una vita media relativamente breve, garantisce un rinnovamento ciclico rapido e continuo della famiglia; inoltre, quando esplora il territorio per raccogliere nettare, polline, propoli, acqua o melata intercetta, con il suo corpo peloso, le particelle in sospensione nell’atmosfera. Esponendosi quindi facilmente a possibili intossicazioni, può efficacemente essere impiegata come bioindicatore (Celli e Porrini, 1994). L’ape si può definire un sensore viaggiante a differenza di altri bioindicatori, perlopiù immobili. Se si considera, per fare un calcolo empirico, che in un alveare in buono stato vi sono circa 10.000 bottinatrici e che ogni bottinatrice visita giornalmente circa un migliaio di fiori, si può dedurre che una colonia di api effettua 10 milioni di microprelievi ogni giorno, senza considerare il trasporto di acqua che nelle giornate calde può raggiungere anche il mezzo litro (Pinzauti e Felicioli, 1998). Di conseguenza l’ape frequenta attivamente il territorio, preleva dei campioni di sostanze eventualmente contaminate, si contamina a sua volta e torna all’alveare; l’insetto stesso diventa così un possibile campione da sottoporre alle analisi di laboratorio.

Da alcuni anni è stato messo a punto un protocollo di sperimentazione in campo per conoscere il tragitto, dall’ambiente all’alveare, delle diverse sostanze chimiche, in particolare di quelle ad uso agricolo, e il loro impatto sull’ape.

La metodologia prevede la predisposizione di una rete di monitoraggio con stazioni di rilevamento caratterizzate da due alveari, il conteggio periodico delle api morte, la determinazione della contaminazione di nettare, polline, api morte, miele, cera e larve e la valutazione dell’attività di volo e di bottinamento.

Attualmente la validità dell’ape come indicatore biologico è stata dimostrata per inquinamenti da:

- agrofarmaci (inquinamento agricolo);

- metalli pesanti (inquinamento urbano e industriale);

- idrocarburi policiclici aromatici (inquinamento urbano e industriale);

- radionuclidi (inquinamento radioattivo);

- diossina, PCB (inquinamento urbano e industriale);

- polveri sottili

Le caratteristiche etologiche dell’ape e il suo stretto rapporto con l’ambiente, fanno di questo insetto un interessante indicatore biologico degli agrofarmaci. L’attività di bottinamento del territorio circostante l’alveare è, come detto, di circa 6-8 Km2 e i prelievi che l’ape effettua in questa area sono diversi: oltre al nettare e al polline, raccoglie la melata degli afidi, sugge l’acqua di fossi e pozzanghere, si posa sul terreno e sulle foglie e, avendo un corpo peloso, intercetta e veicola le particelle in sospensione atmosferica durante il volo. Inoltre l’ape, facendo ritorno all’alveare, permette, attraverso analisi chimiche e il controllo numerico della popolazione, di individuare eventuali sostanze inquinanti diffuse anche in zone lontane dalla postazione.

La metodologia adottata si basa su un importante presupposto: l’ape, che come bioindicatore, intercetta e assimila, attraverso le trachee, la frazione di contaminante biodisponibile (Porrini et al., 2006), risulta essere un buon indicatore diretto degli insetticidi rispondendo alla loro immissione nell’ambiente con un rilevante numero di api morte, mentre nel caso di principi attivi non particolarmente abbattenti l’insetto funziona come indicatore indiretto e fornirà informazioni sotto forma di residui (Celli e Porrini, 1991).

I controlli settimanali e le analisi di laboratorio, quindi, consentono di ottenere dei dati continuamente aggiornati sulla presenza di fitofarmaci nell’ambiente. Morie di api sono possibili con la presenza di insetticidi come i fosforganici (che bloccando con la fosforilazione l’acetilcolinesterasi favoriscono un accumulo di acetilcolina nelle sinapsi e provocano avvelenamento da blocco colinergico con conseguente rapida morte) ed i carbammati (che inibiscono ugualmente l’acetilcolinesterasi ma, competendo con l’acetilcolina, occupano stabilmente il sito attivo dell’enzima impedendo l’ingresso dell’acetilcolina). Il numero di api morte è direttamente proporzionale alla tossicità e alla pericolosità del principio attivo impiegato.

Da tempo si è accertato come il grado di contaminazione del nettare sia in stretta dipendenza con la morfologia fiorale e dunque con il grado di esposizione dei nettàri. Ad esempio i fiori di melo, più esposti, realizzeranno gradi di contaminazione da prodotti fitosanitari più elevati dei fiori di medica, che ha nettàri più protetti e profondi. L’ape risulta essere un eccellente bioindicatore dei prodotti fitosanitari specialmente in un territorio povero dal punto di vista della vegetazione selvatica; in questo caso l’insetto è obbligato a bottinare sulle specie coltivate o nei pressi di queste e sarà più facile quindi che venga in contatto con gli eventuali principi attivi irrorati (Celli e Porrini, 1991). In tutti questi casi l’ape diventa un valido strumento di campo per identificare tempi e modi di uso di sostanze a rischio di tossicità ed evidenziare in tempo reale l’eventuale uso improprio di fitofarmaci

L’ape e i suoi prodotti sono stati utilizzati anche per valutare l’inquinamento ambientale da metalli pesanti quali cromo, nichel, piombo (Gazziola et al., 2000) e cadmio in ambiente urbano (Cesco et al., 1994) oltre che Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) nelle zone industriali. Per questo tipo di studio il miele e la melata si prestano ottimamente. Mieli di nettare contaminati da piombo sono un sicuro indice di inquinamento ambientale. La melata tende a concentrare il piombo, in quanto esso è oggetto di sospensione, di continuo ricircolo e quindi di ricaduta nello stesso ambiente, specialmente in zone ad alta concentrazione urbana. Per il rilevamento del contenuto in metalli pesanti vengono eseguite analisi utilizzando l’assorbimento atomico. L’inquinamento dell’aria è diventato un problema planetario. Ogni qualvolta avviene un rilascio di radioattività in atmosfera, i radionuclidi dopo un certo tempo si depositano al suolo. La ricaduta può avvenire anche a grande distanza dal luogo di emissione e può essere umida o secca in relazione alla presenza o meno di precipitazioni. Il monitoraggio pluriannuale realizzato dal Servizio di Fisica Sanitaria di Udine sulla concentrazione dell’isotopo Cesio137 rilasciato nell’atmosfera dopo l’incidente di Chernobyl, e presente in diversi campioni di miele del Friuli-Venezia Giulia, ha fornito risposte a numerose domande sul comportamento e sul destino di questo radionuclide nell’ambiente (Barbattini et al.,1996). Analisi standard di laboratorio per le radio determinazioni vengono eseguite sulla matrice miele utilizzando la spettrofotometria gamma. Considerando la rapidità nell’eseguire le misurazioni di spettrometria gamma, la facilità del reperimento dei campioni e i risultati ottenuti, il miele può essere ritenuto un buon indicatore di contaminazione radioattiva. Alla luce di quanto esposto, l’uso dell’ape e dei prodotti dell’alveare quale indicatori della salute dell’ambiente e della salubrità dei prodotti vegetali di cui l’uomo si ciba, è da ritenersi ampiamente affidabile. È auspicabile, quindi, che in un prossimo futuro maggiore attenzione sia prestata alla vita di questi utilissimi insetti pronubi e che la loro salvaguardia contribuisca a rendere più proficuo il rapporto tra attività umane e rispetto dell’equilibrio ambientale (cfr. seconda direttrice progetto).

Bibliografia

Accorti M., Guarcini R., Persano Oddo L., 1991. L’ape: indicatore biologico e insetto test. REDIA, 74: 1-15. Barbattini R., Frilli F., Greatti M., Giovani C., Fadone A., Padovani R., 1996.

Radiocesio nei mieli del Friuli-Venezia Giulia dopo l’incidente di Chernobyl. Atti Conv. «10 anni da Chernobyl: Ricerche in Radioecologia, Monitoraggio ambientale e Radioprotezione», Trieste, 4-6 marzo 1996: 133-142.

Celli G., Porrini C., 1991 - L'ape un efficace bioindicatore dei pesticidi. Le Scienze n. 274: 42-54 Celli G., 1992. L’ape come indicatore biologico dei pesticidi. Convegno «Ape Test», Firenze, 28 marzo 1992:15-19.

Celli G., Porrini C., 1991. L’impiego dell’ape nel monitoraggio ambientale degli antiparassitari. L’Italia agricola 128 (1): 43-48.

Celli G., Porrini C., 1994. L’ape, un efficace bioindicatore dei pesticidi. L’ape nostra amica, 16 (5): 4-15.

Cesco S., Barbattini R., Agabiti M.F., 1994. L’ape: insetto test dell’inquinamento ambientale da cadmio e piombo? L’ape nostra amica, 16 (4): 34-38.

Gazziola F., Sbrenna G., Barbattini R., Sabatini A.G., 2000. Apis mellifera gatherer of honeydew of Metcalfapruinosa: studies on properties of derived honey. Ins. Soc. Life 3: 125-130.

Pinzauti M., Felicioli A., 1998. Metodologia impiegata nei programmi di monitoraggio dei radionuclidi e dei metalli pesanti con alveari. Atti del Workshop «Biomonitoraggio della qualità dell’aria sul territorio nazionale», Roma, 26-27 novembre 1998: 303-310.

Porrini C., 1999 - Metodologia impiegata nei programmi di monitoraggio dei pesticidi con api. In: Piccini C.,Salvati S. (eds), Atti del Workshop "Biomonitoraggio della qualità dell'aria sul territorio nazionale", Roma,26-27 novembre 1998, ANPA, Serie Atti 2/1999: 311-317.

Porrini C., Sabatini A.G., Medrzycki P., SgolastraF., Bortolotti L., 2006 - The pragmatism of honey bees as environmental bioindicators. Proceedings of the Second European Conference of Apidology (Vladimir Vesely&DaliborTitěra Eds.), Praga 1o – 14 Settembre 2006, Pp. 84-85.

C. Porrini, S. Ghini, S. Girotti, A.G. Sabatini, E. Gattavecchia, and G. Celli. Use of honey bees as bioindicators of environmental pollution in Italy, 2002 :186-247.

Appendice : INFORMAZIONI SPARSE DI SUPPORTO

Elenco di progetti di biomonitoraggio recenti o riferimenti:

Progetto Api e Orti

2017,2018 (TO, MI, Bo, PT) e 2019 (TO, BO, BA, RM)

Elenco dei metalli oggetto di analisi ambientale (bio monitoraggio progetto Api e Orti)

· Zinco Zn

· Piombo Pb

· Cromo Cr

· Nickel Ni

· Rame Cu

· Cadmio Cd

· Ferro Fe

· Manganese Mn

· Vanadio V

· Mercurio Hg

Elenco dei pesticidi oggetto di analisi ambientale (bio monitoraggio progetto Api e Orti)

· Glifosato

Il Glifosato

“ll biomonitoraggio ambientale con le api ha potuto mettere in evidenza alcune criticità come nel caso del glifosate trovato in tracce a Milano e Bologna” spiega Daniela Sciarra, responsabile campagna agricoltura sostenibile di Legambiente, “A Milano, grazie a questa indicazione, i volontari del circolo di Legambiente hanno sollecitato l’amministrazione comunale a interrompere l’impiego di questo prodotto lungo le strade urbane circostanti l’area dell’orto per trattare le erbe infestanti. Probabilmente le tracce di glifosate ritrovate in alcuni campioni di api a Bologna

dipendono dalla stessa motivazione, oppure, dato che gli orti bolognesi, diversamente da quelli di Milano, si trovano in periferia, da un effetto deriva di qualche trattamento agricolo”. Claudio Porrini aggiunge: “Le tracce di glifosato trovate sono comunque basse, appena al di sopra della soglia di rilevabilità”.

Metalli pesanti

Tra i 10 metalli pesanti ricercati, i più riscontrati sono stati cromo, vanadio, nichel e ferro, seguiti da piombo, rame e zinco. In generale, il 38,15% dei risultati mostrava valori più bassi rispetto a quelli di riferimento; mentre il 35,19% mostrava valori superiori. Il 26,67% rimanente si è collocato a un livello intermedio.

Per quanto riguarda i 10 metalli ricercati si segnalano maggiori concentrazioni a Milano e Torino, rispetto a Bologna e Potenza. Ciò dipende dal fatto che gli orti nelle prime due città sono situati in pieno centro urbano e soggetti a maggiori fonti inquinanti. “In generale –spiega Sciarra – l’area lombarda e torinese ha dei valori di fondo di inquinamento sicuramente superiori e non paragonabili a quelli di Bologna e a maggior ragione Potenza”. Anche nel caso dei metalli pensati, va ricordato, le tracce rilevate sono molto basse. “Il piombo, l’unico per cui vi è una soglia limite 􀂦ssata per legge negli alimenti, era presente in quantità decine di volte più basse di quella quella soglia”, chiarisce Porrini.

Altri progetti e riferimenti

(Ducati Motor Holding Spa)

ISPRA cita “Il progetto BeeNet2, promosso e finanziato dal MiPAAF e realizzato con la collaborazione del Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria - CREA, degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali - IIZZSS, varie Università ed Enti di ricerca, ha consentito di attivare una rete di monitoraggio nazionale per valutare lo stato di salute e l’eventuale moria delle api e lo spopolamento degli alveari, sul territorio nazionale.”

(CORSO di biomonitoraggio - 29 Maggio - 2 Giugno 2000)

https://www.fondazionefenice.it/secondaria-primo-grado-api-e-biomonitoraggio/ Osservazione al microscopio e al morfoscopio digitale e Cromatografia;

https://www.ilpianetanaturale.org/wp-content/uploads/2018/08/BIOMONITORAGGIO-Api-Spoleto-2003-for-web-plus-protetto.pdf (2003 , Spoleto)

TESI PRODOTTE:

Torino, Tesi Francesca Cirio : Corso di Laurea Magistrale Interfacoltà in Geografia Tesi di Laurea Magistrale Anno Accademico 2013/2014 GIS E BIOINDICATORI: METODOLOGIA DI ANALISI SULLA BASE DI DATI MELISSOPALINOLOGICI NELL’ATTIVITÀ DI PIANIFICAZIONE URBANA A TORINO

Torino, tesi di Cecilia Roella : Corso di Laurea in Design e Comunicazione Visiva - Politecnico di Torino Facoltà di Architettura e Design Industriale Anno Accademico 2015/2016 Tesi di laurea dal titolo : Torino e l’apicoltura urbana: uno sviluppo sostenibile.

Infine è del 2017 la terza tesi, di Giulia Gallo presso Università di Scienze Gastronomiche a Pollenzo dedicata ad uno studio comparato tra Apicoltura urbana ed Orticoltura urbana.

ALTRI RIFERIMENTI :

Glifotest è opera di un gruppo di studenti della Facoltà di Agricoltura dell’Università di Buenos Aires. Il dispositivo rileva la presenza di glifosato nell’ acqua e nel cibo, con particolare riferimento ai prodotti agricoli.

APPENDICE B : ESTRATTO TESI CIRIO :

È dimostrato che mantenere un legame con l’ambiente naturale sia benefico per la vita dell’uomo. Nonostante si ricordi che il fine principale dell’allevamento in area urbana non sia quello produttivo (allevare le api in campagna in spazi più ampi e attraverso la pratica del nomadismo permette di produrre maggiori quantità di miele e di differenti tipologie mentre in città, disponendo di spazi più limitati per l’installazione delle arnie, si produce meno e principalmente il tipo “millefiori”), diverse ricerche hanno dimostrato che il miele prodotto in area urbana non presenta livelli di concentrazione di sostanze inquinanti pericolose per la salute del consumatore (Analisi dei mieli di Torino e di Udine).

In secondo luogo, allevare le api in città, permette di aumentare il numero di insetti funzionali al mantenimento di servizi ecosistemici essenziali per la vita dell’uomo. Allevare api in città inoltre garantisce la salvaguardia delle api e il mantenimento della biodiversità assolvendo quindi a compiti di importanza a livello planetario.

· contribuisce alla salvaguardia delle api;

· prevede l’installazione di arnie in città quali centraline di rilevazione dello stato di salute dell’ambiente (rete di sensori distribuiti nella città);

· incentiva il coinvolgimento e la partecipazione della popolazione verso la gestione della cosa pubblica (ognuno può ospitare un’arnia sul proprio balcone e fungere da centralina ambientale della città);

· stimola la socialità;

· potenzia i servizi svolti dalle api, utili per una migliore gestione del verde urbano (impollinazioni di fiori e piante);

· contribuisce a preservare la biodiversità;

· rafforza il legame uomo – natura.

La pratica apistica non rientra attualmente tra i programmi urbani finanziati da Smart City, ma un’applicazione efficace di questo lavoro consiste nell’individuazione di possibili collegamenti metodologici per il monitoraggio urbano (funzione delineata nelle linee guida Smart City, Paragrafo 4.2) legato al censimento delle componenti biologiche e degli inquinanti atmosferici.

Gli indicatori ambientali, vengono infatti definiti “rappresentazioni sintetiche di realtà complesse”, in quanto consentono di descrivere fenomeni derivanti da interazioni sinergiche tra più fattori e in alcuni casi di rilevare la presenza di sostanze illegalmente immesse nell’ambiente. Inoltre, possono registrare cambiamenti derivanti dall’alterazione di un solo fattore oppure di complessi mutamenti ecologici successi anche in tempi passati (Celli, Porrini, 1991).

Sono considerati bioindicatori tutti quegli organismi, animali o vegetali, capaci di avvertire con certezza alterazioni ecologiche dell’ambiente in cui vivono, alterazioni che possono essere causate da vari tipi d’inquinamento o da fattori di stress ambientale. Un indicatore biologico infatti, è un organismo che reagisce in maniera osservabile, macroscopicamente o microscopicamente, alle modificazioni della sua nicchia ecologica o più in generale del suo biotipo (Porrini et al., 2000). In generale, qualsiasi organismo esposto alle condizioni del suo habitat, può fungere da indicatore di qualità, ma solo alcuni esseri viventi presentano caratteri ideali per il loro utilizzo quali rilevatori dell’inquinamento. Tra gli organismi che possono essere usati per rilevare la valutazione ambientale di un problema troviamo i funghi, i licheni (Nimis, 1990 in Zanolli 2007) e tra gli insetti, l’ape (Celli, 1983, in Zanoli 2007).

Sinteticamente il biomonitoraggio si differenzia dalle misure strumentali (MS) perché:

il biomonitoraggio produce stime indirette, con minore precisione e minore oggettività delle MS;

le MS sono precise e puntuali, selezionano la ricerca in target ben precisi ma non tengono in conto della sinergia tra gli elementi che si vogliono indagare;

il bioindicatore può mettere in atto un buon grado di adattamento all'inquinamento mentre le MS, se ben mantenute, non subiscono variazioni nelle prestazioni;

il biomonitoraggio spesso funziona stagionalmente, a differenza delle MS che funzionano tutto l'anno;

il bioindicatore può variare risposta a partire dallo stesso stimolo nel tempo e nello spazio, le MS sono invece sempre coerenti nelle misure;

i bioindicatori permettono di evidenziare più inquinanti, anche di nuove concezioni ed impieghi. Le MS rilevano gli inquinanti per le quali sono state progettate;

chi elabora le informazioni ricavate dai bioindicatori deve essere adeguatamente preparato, a differenza di chi fa manutenzione alle MS che di solito è un tecnico.

In evidenza, alcuni parametri non misurabili con le MS sono:

complessità biologica;

· valore estetico;

· valore ecologico;

· trasformazione e dinamica di comunità;

· effetti delle azioni di cura degli ecosistemi;

· processi di accumulo degli inquinanti;

· l’uso dei bioindicatori è meno costoso e più applicabile quanto più è vasto il territorio da monitorare.

Grazie alle sue caratteristiche etologiche e morfologiche le api sono infatti considerate degli ottimi rilevatori ecologici:

· sono di facile allevamento;

· sono animali ubiquitari;

· non hanno grandi esigenze alimentari;

· il corpo ricoperto di peli permette loro di intercettare materiali e sostanze presenti nell’aria;

· sono sensibili alla presenza di inquinanti nell’ambiente;

· hanno un tasso di riproduzione elevato e una vita media corta che permettono alla colonia di rigenerarsi in breve tempo;

· l’alta mobilità e il grande raggio di volo permettono loro di monitorare ampie zone;

la presenza media di 10.000 api bottinatrici (che si occupano della raccolta delle fonti di nutrimento) fanno si che ogni colonia

· effettui milioni di microprelievi giornalieri;

· visiti tutti i settori ambientali (terreno, vegetazione, aria, acqua) in un raggio medio di 7 km2;

· collezioni all’interno dell’alveare materiali esterni di varia natura;

· abbia bassi costi di gestione rapportati al numero di prelievi giornalieri che effettua (Porrini, 1994).

Considerando infatti un numero medio di 40.000 api per arnia e che, tra queste, un quarto sono bottinatrici che ogni giorno visitano circa un migliaio di fiori ciascuna, si stima che una famiglia di api possa effettuare fino a 10 milioni di micro-prelevamenti ogni giorno (Louveaux, 1986; Porrini et al.,2002 in Porrini, 2008). In una giornata calda l'alveare può arrivare a raccogliere fino a mezzo litro di acqua (Pinzauti e Felicioli, 1998). Ne consegue che l’ape, nell’esplorare il territorio alla ricerca di cibo, entra in contatto con potenziali sostanze inquinanti, si contamina e fa rientro nell’alveare. In questo senso le api stesse posssono essere considerate campioni da analizzare in laboratorio (Gazziola, 2000).

Le centraline di rilevamento dell’Arpa presenti nel territorio comunale torinese sono cinque e si trovano rispettivamente ai seguenti indirizzi: Torino_Grassi, via Paolo Veronese 295; Torino_Rebaudengo, piazza Rebaudengo 23; Torino_Consolata, via della Consolata 10; Torino_Rubino, via Edoardo Rubino c/o giardini Rubino; Torino_Lingotto, viale Augusto Monti 21. Una sesta centralina è presente a Grugliasco in viale Radich 8/12 e un’altra a Collegno, in corso Francia 137.

Ad ogni modo, nonostante la presenza di piombo nei combustibili sia stata bandita, alcune tracce sono tuttora rinvenibili nei mieli urbani, poiché si ricorda che, a causa della forte contaminazione di tale sostanza in epoche passate, le piante continuano ad assorbirlo dal terreno e di conseguenza, le api, essendo bioindicatori sensibili, continuano a rilevarne la presenza. Per tale motivo, si consiglia agli apicoltori di non collocare le arnie nelle vicinanze di strade ad alto traffico o vicino a zone ad intensa attività industriale. Un motivo di garanzia maggiore per la salute dei consumatori di miele urbano è dovuto al fatto che le api, in presenza di sostanze altamente tossiche, muoiono prima ancora di far rientro nell’alveare, quindi non trasmettono l’inquinante nel miele. Allo stesso tempo, il tasso di mortalità delle api deve essere interpretato come un chiaro segnale dall’allarme sullo stato dell’ambiente.

In riferimento alla tipologia di inquinanti, Gazziola conferma che l’ape è un valido indicatore biologico per valutare inquinamenti da:

· antiparassitari e diserbanti (agricolo);

· metalli pesanti (urbano);

· radionuclidi, fumi industriali, elettromagnetismo (industriale).

Si ricorda comunque che per questo tipo di analisi è necessario utilizzare strumenti altamente sofisticati e la loro presenza nel miele è sempre risultata ai minimi della rilevabilità. In via definitiva l’ape è da considerarsi un bioindicatore sufficientemente affidabile previa considerazione dei limiti connessi al suo utilizzo. Tra questi:

· la necessità di avere un ambiente che dispone di fonti di approvvigionamento adeguate per le api e rappresentativo della contaminazione ambientale (per effettuare campagne di monitoraggio mirate su particolari siti è importante che nelle zone adiacenti alle stesse siano presenti fonti di nutrimento apistico);

· l’indipendenza comportamentale delle api nelle preferenze tra le fonti di cibo (fedeltà delle api ad una fonte nettarifera);

· la necessità di avere una temperatura media ambientale sopra i 10 C° non permette di effettuare il biomonitoraggio durante il periodo invernale;

· la suscettibilità di non ritorno all’alveare per mortalità naturale o deriva;

· l’alta sensibilità a fitofarmaci con alto potere abbattente;

· la difficoltà nel valutare costantemente tutti i componenti dell’alveare nei diversi stadi di sviluppo.

Le forme di inquinamento del miele da parte del polline si suddividono in quattro tipi:

· inquinamento primario: è quello che avviene nel fiore, cioè dall’antera cadono i granelli di polline al’interno del fiore e quindi nel nettare che viene poi risucchiato dalle api durante la raccolta;

· inquinamento secondario: è quello provocato dall’ape stessa, cioè l’ape si sporca di polline mentre va a raccogliere il nettare e lo veicola all’interno dell’arnia, contaminando le altre api e le cellette che contengono il miele;

· inquinamento terziario: è provocato dall’apicoltore durante le operazioni di smielatura;

· inquinamento quaternario: è dovuto all’azione del vento.

Per quanto riguarda l’inquinamento di tipo primario, si precisa che, sia la forma del fiore, che la sua posizione possono favorire o ostacolare tale inquinamento. Allo stesso tempo, anche la dimensione del polline è un fattore fondamentale da tenere presente nella definizione botanica del miele: tanto più sono grandi, tanto minore è la loro rappresentatività nel nettare. La presenza pollinica può inoltre essere limitata dai seguenti fattori:

· presenza di nettari extrafiorali;

· mancanza di sincronismo fra la deiscienza delle antere e il momento di massima produzione nettarifera;

· sterilità totale o parziale degli stami;

· esistenza di fiori unisessuali.

L’area oggetto di studio è costituita da sette porzioni di territorio comunale di Torino inserite all’incirca in una fascia di 1,5 km di larghezza che costeggia la sponda sinistra del Fiume Po. A livello urbano è delimitata a Nord dalla confluenza con il Fiume Dora Riparia a Sud dal limite urbano definito dalla Strada Castello di Mirafiori a Ovest da Corso Bolzano, Corso Agnelli, che poi diventa Corso Unione Sovietica, e ad Est dal Fiume Po.

Queste sette aree sono determinate dalla posizione dei sette apiari urbani considerati per i dati melissopalinologici usati in questo studio (Figura 3.), e i relativi buffer di tipo circolare di 1,5 km di raggio (Figura 4.)

Questi buffer rappresentano a livello di sistema spaziale le caratteristiche delle possibilità di spostamento delle api presenti in un'arnia: in linea d'aria fruibile a 360° in un raggio di 1500 metri. La scelta di utilizzare tale distanza come confine dell’area studio deriva da alcune considerazioni di tipo apistico elaborate in ambito scientifico. Si ritiene infatti che 1,5 km sia la distanza che un’ape, in media, percorre nei suoi spostamenti attorno all’alveare alla ricerca di cibo. Ovviamente vanno tenute presenti alcune considerazioni che variano a seconda della disponibilità di nutrimento che le api trovano nelle vicinanze dell’alveare, dalla morfologia del terreno, ecc.

Se nell’arco di 500 m le api trovano cibo in abbondanza, i loro voli di bottinatura non supereranno tale distanza, mentre, se l’ambiente circostante è particolarmente povero dal punto di vista nutritivo per le api, queste si sposteranno anche fino a 7-10 km di distanza. Un chilometro e mezzo è ritenuta dagli esperti una misura sufficientemente valida per descrivere l’areale di spostamento di una colonia di api. Le sette aree circolari rappresentate dai buffer degli apiari e visibili nella Figura 4., rappresentano l’area oggetto di interesse per questo studio (si vedano in Allegato le procedure GIS che hanno portato alla definizione delle sette aree studio considerate in questa ricerca).

Dal portale del Settore Verde Pubblico si evince che la città di Torino possiede un vasto patrimonio ambientale formato, oltre che dagli alberi (110.000 esemplari), dalle aree verdi, dai parchi e giardini urbani, fluviali e collinari e dalle zone boscate presenti soprattutto nella collina torinese. Stando ai dati in possesso del Comune, con un superficie di 130.170.000 m2 e una popolazione di

905.014 abitanti, Torino presenta una delle percentuali più alte di verde per abitante: 23,62 m2.

Il database delle alberate, aggiornato al 2005, rappresenta la piantumazione arborea dei viali più grandi presenti nel Comune (300 km di vie alberate). Gli esemplari censiti e georiferiti dal Comune sono 60.775; tra questi, le specie maggiormente rappresentate sono il Platano (Platanus acerifolia), il Tiglio (Tilia ibrida), il Bagolaro (Celtis australis), l’Acero (Acer Platanoides) e l’Ippocastano (Aesculus Hippocastanum).

Analizzando il database del Comune però è emersa la parzialità delle informazioni, in relazione a più aspetti: di queste 60.775 piante, 17.533 non presentano la denominazione delle specie di appartenenza, di conseguenza, per quasi il 30% delle piante individuate dal Comune, non è stato possibile risalire alla specie e/o al genere botanico; inoltre, questo database, rappresentando solo una parte del comparto verde pubblico della città, quello delle alberate, risulta incompleto data l’estensione delle aree verdi cittadine. Il database non fornisce la situazione relativa alle piante presenti nei parchi, nei giardini, negli orti, nei cortili, pubblici o privati che siano. Allo stesso tempo, si evince che le alberate individuate, sono rappresentate solamente dalle piante arboree piantate dal Comune, mentre non sono segnalate le arbustive, le cespugliose e le erbacee, altrettanto importanti all’interno dell’ecosistema urbano.

Per questi motivi si è effettuata una sistemazione del database relativo alle alberate comunali, traendo informazioni dal servizio di Visualizzazione SIT offerto dal Geoportale del Comune (si veda in Allegato la sezione relativa alle procedure).

Con questo passaggio si è quindi aggiornato e corretto il database relativo alle alberate del Comune di Torino. Il risultato del lavoro di sistemazione del database è visibile nella Figura 5. che rappresenta tutte le alberate presenti nell’area di studio, classificate in base alla famiglia di appartenenza.

Poiché uno degli obiettivi di questo lavoro consiste nel confrontare i dati ricavati dalle analisi melissopalinologiche con i dati delle alberate di Torino si è dovuto rendere comparabili, almeno in parte, i dati. A tale scopo si sono classificate tutte le piante in base alla famiglia botanica di appartenenza (si veda in che modo è stata effettuata la classificazione nella sezione Allegati)

Ricapitolando i dati presentati nelle descrizioni delle due fonti di dati (risultati analisi melissopalinologiche e Catasto del Verde di Torino), è emerso che l’analisi melissopalinologica ha individuato un maggior numero di generi botanici e quindi, di famiglie, presenti nell’area di studio. Infatti, le analisi melissopalinologiche hanno individuato 70 generi floristici appartenenti a 43 rispettive famiglie botaniche. Oltre a questi 70 generi, le analisi polliniche hanno riconosciuto altri pollini appartenenti a 19 famiglie. Di queste, 11 erano già state menzionate poiché riferite anche ad alcuni dei generi botanici individuati nei campioni, mentre 8 sono risultate di nuova identificazione. In totale quindi le analisi effettuate sul miele hanno individuato la presenza nelle aree studio di ben 51 famiglie botaniche. Il Catasto del Verde torinese, invece, per le sette aree studio considerate in questo lavoro conferma la presenza di 37 generi di piante, che appartengono rispettivamente a 21 famiglie botaniche.

Facendo un confronto tra questi dati si evince che, dei 70 generi botanici riconosciuti attraverso le analisi polliniche, 50 è il numero di generi “scoperti” grazie alle analisi sul miele, mentre i restanti 20 compaiono anche nel dato comunale (70-20 generi presenti anche nel dato comunale). Viceversa dei 37 generi botanici mappati dal Comune, 20 risultano presenti anche nella base di dati melissopalinologici. Si evince quindi che più della metà delle arboree presenti nei viali alberati torinesi rappresenta un’importante fonte di nutrimento per le api. Allo stesso tempo però, visto il gran numero di generi bottinati in area urbana, si può confermare che le api visitino anche fiori e piante che non costituiscono le comuni piantumazioni arboree. Dai dati infatti risulta che, su 70 generi botanici individuati, 29 sono arboree (di cui 20 riscontrate anche nel dato comunale), 26 erbacee, 12 arbustive e 3 di interesse agricolo. Se si considerano solo i generi “scoperti” attraverso le analisi, risulta invece che, come si può vedere dalla Figura 15., il 9,18% sono arboree, il 26,52% erbacee, il 12,24% sono arbustive e il 3,6% sono quelle di interesse agricolo.

Nuovi generi identificati dalla melissopalinologia

1. erbacee

2. arbustive

3. arbore

4. agricole

Se si considera invece il dato relativo alle sole famiglie botaniche, emerge che in totale l’analisi pollinica ha individuato 51 famiglie (43 + 8), mentre il dato comunale 21. Comparando questi dati, delle 43 famiglie riscontrate dalla melissopalinologia (a cui corrispondo i 70 generi individuati dalle analisi), 16 sono presenti anche nel dato comunale; mentre, delle 8 famiglie (Cannabaceae, Chenopodiaceae, Dipsacaceae, Iridaceae, Lamiaceae, Liliaceae, Urticaceae e Cupressaceae per le quali non si è riusciti a determinare il genere pollinico di riferimento) solo 2, quella delle Cannabaceae e quella delle Cupressaceae, sono compresenti anche nel database comunale.

Posto ciò, a livello analitico metodologico il lavoro ha permesso di:

· definire delle metodologie di analisi spaziale delle aree verdi urbane per l’implementazione delle basi dati comunali (Catasto del Verde) attraverso l’utilizzo di dati melissopalinologici alla scala urbana;

· testare l’efficacia delle analisi melissopalinologiche quali indicatori delle varietà botaniche in area urbana (la scoperta di generi botanici non censiti dal Comune permette altresì di monitorare la diffusione di specie invasive);

· individuare 70 generi botanici, tra cui 29 generi di piante arboree, 26 di erbacee, 12 di arbustive e 3 di interesse agricolo (nonostante l’interesse in questo lavoro non fosse finalizzato alla definizione delle specificità ornamentali, tali risultati si sono rivelati utili per la definizione dell’attività di biomonitoraggio della varietà floristica presente nel Comune);

· definire una metodologia per l’implementazione degli indici di smartness ambientale;

· georiferire dati ambientali alla scala urbana in GIS;

· valutare l’efficacia dell’apicoltura urbana come pratica smart (l’allevamento di api in città risponde sotto molteplici punti di vista ai requisiti richiesti quale progetto sostenibile da applicare alla scala urbana).

Sulle basi di efficacia dell’esperienza condotta le prospettive di implementazione future del lavoro di ricerca possono convergere per:

· ricavare dalla medesima matrice mielistica ulteriori dati analitici relativi ai livelli di inquinanti presenti (tema non trattato dal punto di vista pratico in questo lavoro per indisponibilità dei dati);

· analizzare le altre matrici presenti nell’alverare (polline, cera, propoli, api stesse) per ricavare maggiori informazioni circa lo stato di salute ambientale della città;

· rendere disponibili all’interno del geoportale dati con maggior accuratezza temporale e tematica; un limite di questa ricerca è la scarsa qualità del dato da questo punto di vista;

· integrare i dati circa gli inquinanti presenti nell’ambiente rilevati attraverso le api con le misure strumentali (centraline ARPA) già presenti nel territorio al fine di fornire indicazioni più puntuali e complete;

· integrare lo studio con informazioni di tipo meteorologico stagionale;

· calcolare la biomassa disponibile in città per bilanci di assorbimento della CO2 in area urbana.

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1 Comment


Leo Giannotti
Leo Giannotti
Jun 21, 2019

Molto interessante. Ora passiamo alla fase operativa.

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